Quella vitamina C, o acido L-ascorbico come direbbe un chimico, O E300 secondo la legislazione vigente, non proviene da una spremuta di agrumi, come vorrebbe suggerire la pubblicità: è stata invece sintetizzata da un impianto industriale. E non ha importanza da dove siano arrivati gli atomi di idrogeno, ossigeno e carbonio di cui è composta. Le sue proprietà dipendono solamente dal modo con cui sono disposti questi atomi nello spazio, e non da dove fossero in precedenza. Nonostante questo c'è chi prova a vendere la vitamina C "naturale", a costo maggiorato ovviamente, cercando subdolamente di suggerire che l'altra è "artificiale"e qualche modo un inefficace, il che è una colossale stupidaggine. Ovviamente in un bicchiere di succo d'arancia sono presenti molte altre sostanze chimiche oltre la vitamina C (tra l'altro, nella spremuta la vitamina si degrada molto in fretta, per cui è importante per la pena preparata). La vitamina C industriale si produce a partire dal glucosio, uno degli zuccheri semplici che formano il saccarosio. Il processo, piuttosto complicato, è suddiviso in vari stati è uno di questi consiste nella fermentazione causata da una microrganismo, un po' come avviene nella produzione del vino o della birra. Da dove viene il glucosio usato dall'industria? Solitamente dall'amido di mais.
L'amido infatti è una polimero di glucosio: è composto da moltissime molecole di glucosio legate le une con le altre. E anche in questo caso si utilizza un microrganismo per spezzare i legami tra le molecole di glucosio nell'amido. Tra l'altro, l'amido utilizzato nella produzione della vitamina C può anche derivare da mais OGM, ma non vi affannate a cercare sulla confezione delle pasticche la dicitura relativa all'eventuale origine transgenica. La legge non impone e comunque non avrebbe senso mettercela, visto che l'amido è amido, indipendentemente dalla sua origine transgenica o meno. A questo punto dovrebbe essere chiaro che la nostra vitamina C non ha più alcuna memoria della sua provenienza. Che derivi da un limone allontanamenti dalla pannocchie di mais non fa infatti nessuna differenza.
Dal libro "Pane e bugie" di Dario Bressanini